Storia di un amore mancato e ritrovato
Retrospettiva fumetti: Julia n. 1,2,3 (1998)
art by James Mylne |
Era l’ottobre del 1998 quando in edicola si affacciò il primo numero di Julia, non posso negare che, abituato a Dylan Dog, Martin Mystére e Nathan Never il sottotitolo “avventure di una criminologa” non mi ispirava nulla di buono. Avevo fame di orrore, misteri e fantascienza, Tex mi aveva già dato a noia e Zagor aveva ceduto il passo a Mister No, meno perfettino e amante delle donne e dell'alcol, nei miei gradimenti. L’incalzare poi dei manga stava catalizzando la mia attenzione verso altri lidi aprendomi a un mondo vastissimo che non aveva nulla a che vedere coi fumetti italiani o americani.
Ma torniamo a Julia,
presi il primo numero come faccio ancora oggi con i Bonelli. I primi numeri ,
si sa, sono un biglietto da visita per una serie, devono mostrare potenziale ma
non esagerare per non deludere in seguito. Sta di fatto che “Gli occhi
dell’abisso” l’ho letto solo dopo più di un anno, non male, certo, ma il mio
periodo Agatha Christie e sir Arthur Conan Doyle volgeva al termine e malgrado
l’ambientazione moderna dell’eroina con le fattezze di Haudrey Hepburn mi
attirava, i gialli “classici” avevano perso fascino. Già lo stesso Nick Raider,
poliziesco più d’azione non mi dava alcuna emozione, figuriamoci un giallo,
cerebrale per lo più. Da allora Julia ha superato i 200 numeri e io seppur
saltuariamente qualche storia la leggevo, poi è venuto il momento in cui ho
capito. Non era Julia che non mi prendeva, ero io che non ero ancora pronto a
farmi prendere da lei. Con calma ho recuperato tutti i numeri e ora mi appresto
a una lettura/rilettura accurata in ordine cronologico. Mossa tardiva? No, gusti si evolvono, e se si continuano ad ampliare le proprie letture, non ci sono
mosse tardive ma solo mosse giuste.
Veniamo ai primi tre volumi, ottobre, novembre e dicembre 1998, tre storie legate che ci danno un affresco ad ampio respiro di quello che si avrà nella serie, una mossa azzardata ma efficace che Giancarlo Berardi (eh sì, il papà di Ken Parker, tanto di cappello, grazie) decide di giocare in maniera vincente. Mette nel piatto tanto e subito, come subito cala il pezzo da novanta, la nemesi della nostra criminolaga: Myrna Harrod.
Veniamo ai primi tre volumi, ottobre, novembre e dicembre 1998, tre storie legate che ci danno un affresco ad ampio respiro di quello che si avrà nella serie, una mossa azzardata ma efficace che Giancarlo Berardi (eh sì, il papà di Ken Parker, tanto di cappello, grazie) decide di giocare in maniera vincente. Mette nel piatto tanto e subito, come subito cala il pezzo da novanta, la nemesi della nostra criminolaga: Myrna Harrod.
1 - Gli occchi dell'abisso
2 - Oggetto d'amore
3 - Nella mente del mostro |
Le vicende si dinapano in medias res, (i retroscena e il passato dei protagonisti verranno centellinati più avanti nei numeri e nelle storie degli almanacchi e degli speciali) a Garden City, metropoli fittizia di un New Jersey ben diverso da quello cantato dai Bon Jovi, vengono ritrovate donne morte e seviziate. La polizia brancola nel buio e viene richiesta la consulenza della criminologa Julia Kendall.
Si forma subito la squadra
che spesso agirà negli albi di questa serie. Da un lato il tenente Alan Webb,
duro e burbero, con le fattezze ispirate a John Malkovich, e il sergente “Big”
Ben Irving, bonaccione ma non per questo meno scaltro del suo superiore, con la
stazza e il viso di John Goodman. Dall’altro Julia e l’investigatore privato
Leonard “Leo” Baxter, spavaldo e irriverente donnaiolo che aiuta la criminologa
a seguire le piste più pericolose e a svolgere il lavoro sporco che il
dipartimento di polizia non può accollarsi muovendosi in terreni accidentati e
loschi. Quest’ultimo dovrebbe avere le fattezze di Nick Nolte ma io lo vedo più
come il Robert Redford de “La stangata”, chi lo sa?!
La storia tra indagini e la
vita privata della protagonista ci porta lenta e coinvolgente a un epilogo al
cardiopalma dove a sorpresa il serial killer è chi non te lo aspetti, una
giovane donna , Myrna, che riesce a fuggire creando un diversivo.
Nel secondo volume prosegue
la caccia all’assassina che porta la
Kendall a Providence, fuori dalla giurisdizione del
dipartimento di Garden City, alla ricerca della madre di Myrna. Qui scatta il
primo faccia a faccia a carte scoperte tra Julia e la serial killer che si
concluderà con l’ennesima fuga della seconda.
Nel terzo abbiamo il lungo
epilogo della storia, con Julia che viene rapita da Myrna ormai ossessionata
dalla criminologa e innamorata di lei [cit.
“sta riempiendo i miei pensieri da mesi. Non ho mai desiderato tanto
nessuno. Voglio averla per me un giorno intero, prima di ucciderla]. Nelle
ultime pagine per la gioia dei lettori abbiamo proprio un vero catfight tra le due prima dell’arrivo di
Webb e Leo Baxter mettere fine alla vicenda.
Non c’è niente da dire, la
storia fila che è un piacere e dopo soli tre numeri si ha un panorama esaustivo
e convincente della serie, i personaggi ci sono già familiari e i loro possibili
sviluppi futuri intrigano e incuriosiscono. Tutto perfetto quindi?
Soffermandomi a questi tre numeri no, la serie mi lascia il beneficio del
dubbio proprio sulla cosa più importante: la protagonista.
Morgan 4/4 |
Julia è bella, ehi, è Audrey
Hepburn e ho detto tutto! Poco più che trentenne è una donna di gran classe,
colta, sempre elegante e ben vestita, educata e composta, scaltra, arguta e chi
più ne ha più ne metta. Lavora come docente di criminologia e saltuariamente
come consulente per la polizia. Ha appena mollato un fantomatico fidanzato di
cui non si conosce manco il volto. Ha una bella casa, una domestica con cui si
danno del “lei” iperprotettiva e fin troppo invadente per i miei gusti, una
gatta e una morgan 4/4 del 1967. Sì, forse non se la tira ma è una vera palla,
ha i soldi ed è snob. Dopo tre numeri sappiamo che è rimasta orfana all’età di
tre anni ed è stata cresciuta dalla nonna, un’altra saccente di prima. Ah sì,
suona pure il pianoforte. Una fica di legno insomma. Come contraltare nel
privato appare fragile e insicura, ha incubi dovuti a una brutta vicenda e sembra
molto bisognosa d’amore nonostante la freddezza che manifesta, almeno quello!
Lo ammetto, è una donna che
si apprezza col tempo, io ci ho messo un bel po’.
Ben più immediata la simpatia
per la serial killer Myrna Harrod, sì sembra assurdo, ma sta ventitreenne
lesbica, laureata in chimica, con un Q.I. di 141 e psicopatica è una bomba. La
genesi del male è tra le più classiche: la madre la abbandona col padre
fanatico religioso che la mortifica senza remore e la picchia di brutto, giusto
perché cresca con sani principi. E lei una volta che sboccia la sua vocazione
che fa? Ammazza e manipola le persone senza ritegno, si maschera come fosse
Lupin e usa il sesso per plagiare uomini e donne. So che non si può ma se fosse
lei la protagonista della serie sarebbe uno spasso assurdo, anche se
politicamente scorretto.
La cosa più geniale di tutte
è il cambio di narratore nella terza storia, intendiamoci Julia durante le
vicende parla a se stessa e al lettore attraverso il suo diario, questo
escamotage ci fa conoscere i suoi pensieri e ci avvicina al personaggio, mossa
saggia e arguta. Ci prende per mano e ci
porta nel suo mondo. Nel terzo albo non è Julia che parla a se stessa e quindi
a noi ma è Myrna a farlo, questo stravolge tutto e porta la narrazione su di un
livello superiore. Eccelso. Un colpo da maestro per il quale non si può che
complimentarsi con Berardi, che deve aver ben capito la genialata fatta in
quanto Myrna Harrod tornerà molto spesso nelle storie di Julia e ogni volta la
narrazione sarà filtrata attraverso il suo punto di vista.
Molto forzati purtroppo i frequenti
battibecchi tra la criminologa e Webb. Capisco la necessità di allentare la tensione
dalle cruente vicende di morti ammazzati ma questi siparietti paiono fuori
luogo e oltremodo artificiosi. Tuttavia questo serve anche a creare un certo feeling tra i due, in
vista di possibili sviluppi futuri. Ma a chi la diamo a bere? Io a una prima
occhiata la vedrei con Leo Baxter, già è bacchettona lei, se si mette con Webb
che fanno? L’amore vestiti? Mi viene il vomito.
Julia © Corrado Roi & SBE
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Carina l’idea di mettere una
colonna sonora virtuale nel fumetto, in scene alcune parti di testi di canzoni
famose accompagnano la lettura. Sempre molto evocativi i brani scelti
dall’autore come sottofondo di dialoghi o situazioni. Troviamo (You make me feel like) A natural woman di Aretha Franklin, Walk on the wild side di Lou Reed, (I can’t get no) satisfaction dei
Rolling Stones.
Ultima parentesi sulla
confezione degli albi e i disegni. La grafica è efficace e le copertine di
Marco Soldi sono davvero evocative. Forse il font usato per il diario e i
pensieri di Julia può apparire un po’ di primo acchito. I disegnatori… è
inutile, il numero due è opera di Corrado Roi, con tutto il rispetto gli altri
impallidiscono a confronto. Purtroppo rimarrà l’unico numero della serie
disegnato da lui.
Il beneficio del dubbio
sulla serie io non ce l’ho più perché sono andato oltre i primi numeri. A voi è
bene che resti per un altro po’.
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